Il controllo è finalizzato a due obiettivi: il rispetto della vendita al dettaglio e non all’ingrosso della merce e il rispetto delle metrature catastali dichiarate in licenza.

Così, planimetrie alla mano, si parte. Entriamo al “Nuovo Giglio” in via Cairoli 33. Dentro ci sono una coppia di giovani cinesi. Nessuno è dipendente. I vigili chiedono “titolo autorizzativo” (la licenza) e uno scontrino “zero”. I tecnici del Comune con un metro elettronico prendono le misure del negozio: sulla carta sono dichiarati 35 metri quadrati, dalle rilevazioni ne risultano 45. Il magazzino è stato smantellato e così si sono ricavati 10 metri quadri in più. Senza nessun permesso. “Lo stato dei luoghi non è conforme alla planimetria originale”, scrivono sul verbale che sarà di 1.400 euro. La pubblicità sui vetri (vetrofonia, in gergo tecnico) è abusiva. Le etichette sulla merce hanno invece prezzo e provenienza di cappotti e maglioni. Quello che accade mezz’ora dopo in via Turati 7274 in un gigantesco supermercato dell’oggetto da calamite di Papa Francesco a mini spazzole per togliere peli dalle giacche ha dell’incredibile. Dopo la risposta canonica del titolare partito in viaggio, succede che la socia orientale del bazar comincia a dare in escandescenza. Mesi fa, quel negozio di 100 metri quadri, diventati 160, ha ricevuto la notifica di chiusura. Motivo: ha licenza per vendere al dettaglio e non all’ingrosso. Ma come dieci attività, sulle 15 controllate ieri, accade esattamente l’opposto.

Nel negozio è un via vai di ambulanti che vanno a comprare oggetti di ogni forma e colore, ma la factotum di fronte ai vigili che controllano le carte, inizia a gridare contro di loro. “Il negozio è chiuso, chiuso, andate via”. I clienti, smarriti, non capiscono: hanno la bancarella da aprire e non vogliono saperne di lasciare il bazar prima di aver acquistato centinaia di souvenir e palline milleluci. Lei finge di non capire perché vogliono comprare tutta questa merce, “io vendo pochi oggetti pel volta”. Li caccia in malo modo, li incenerisce con gli occhi. Pensava, grazie all’intervento del suo commercialista (un uomo paffuto che arriva in affanno al negozio e inizia ad alzare la voce contro i vigili), di risolvere la questione. Ma alla fine del controllo scatta un nuovo avviso di chiusura dell’attività.

Su via Principe Eugenio un esercizio che doveva chiudere per lo stesso motivo (vendita all’ingrosso invece che a dettaglio) aveva trovato l’escamotage frequentissimo di fare un subingresso fittizio all’attività, che consente al nuovo intestatario non solo di mantenere aperto, ma di non pagare la multa elevata. Bilancio della mattinata: 22mila euro di Tari da pagare e sei commercianti multati per violazioni varie. Per dieci di loro è in corso la richiesta di chiusura su cui si pronuncerà il municipio.

(Repubblica.it)