Sono fuori legge le attese per una visita specialistica o per un esame diagnostico. In ospedale e negli ambulatori pubblici del Lazio si aspetta fino a un anno per una mammografia, una tac al torace, un ecocolordoppler alle carotidi o ai vasi periferici e per una colonscopia. E nei grandi ospedali, policlinici inclusi, non si prendono appuntamenti: agende chiuse per quasi tutti gli esami diagnostici. È una pratica vietata. Ma se si mette mano al portafogli, con gli stessi medici in attività libero professionale, l’intramoenia, tempo qualche manciata di ore e si è serviti.

Occorrerebbero 30 giorni al massimo per una visita, 60 per un esame diagnostico; 72 ore per le urgenze.

Ma per una mammografia, per esempio, si aspetta fino a 355 giorni nella Asl di Latina e al San Camillo.

Un po’ meno a Frosinone, 278 giorni, e a Rieti, 171.

Va meno peggio per le ecografie, ma non c’è Asl o ospedale che garantisca l’esecuzione in un mese. Si va da un minimo di 73 giorni (Asl RmA) a un massimo di un anno (Latina).

I grandi ospedali, policlinici inclusi, hanno le agende chiuse. Una gastroscopia? Proibitiva con il Servizio sanitario. Senza soldi, in lista di attesa, passano fino a 191 giorni al San Camillo e 188 nelle Asl Rm A e B.

Anche per le visite specialistiche, pochissime Asl rispettano i 30 giorni come limite massimo.

Le attese si allungano anche per i 2 milioni e 200mila pazienti che ogni anno passano per i Pronti soccorsi (oltre il 60 per cento in condizioni non gravi) e per il milione e 200mila che vengono ricoverati. Il posto letto resta un miraggio.