A cinquant’anni dall’ultima monografica a Roma, al Chiostro inaugura “Turner – opere dalla Tate”, frutto di una collaborazione con il museo inglese che oggi conserva gran parte del Lascito Turner. Una crestomazia di quel che fu la sua collezione privata, che segue l’evoluzione e i frequenti viaggi di uno dei più grandi pittori del Romanticismo, alla ricerca del suo lato più intimo.
“È come spiarlo al lavoro – spiega il curatore David Blayney Brown – sono tutte opere che Turner ha realizzato per puro piacere, libero di sperimentare nuove tecniche e scevro dal peso delle aspettative dei committenti e del giudizio altrui». Un racconto che parte dai suoi esordi nell’ultimo decennio del 1700, fino alla maturità nella metà del 1800″.
William Turner (Londra 1775, Chelsea 1851), di umili origini (il padre era un barbiere) e talento precocissimo (ebbe la cattedra di prospettiva alla prestigiosa Royal Academy, dove studiò, nel 1807), fu l’indubbio precursore dell’Impressionismo. È noto il debito che Claude Monet ebbe nei suoi confronti quando vide per la prima volta i suoi quadri nel 1871, ma allo stesso modo Turner influenzò anche artisti contemporanei come Mark Rothko, Olafur Eliasson, Cy Twombly.
Il successo raggiunto in vita dal cosiddetto “pittore della luce”, e la sua fama di “primo tra i contemporanei” è suggellata, tra l’altro, anche dalla nascita, nel 1894, del prestigioso Turner Prize, dedicato ad artisti di età inferiore ai 50 anni. Non resta che abbandonarsi ai suoi incanti, le trasparenze e i giochi di luce, che se nelle opere giovanili come “Veduta della gola dell’Avon” (1791), si rifanno a una tradizione pittorica figurativa, lentamente sembrano abbandonarsi all’astrazione lirica, alla pennellata gestuale, a un linguaggio informale di cui Turner diventa, con un secolo di anticipo, apripista.
Chiostro del Bramante – via della Pace. Fino al 26 agosto