Nell’800 il carnevale è così importante nel contesto cittadino che le attività e i guadagni che vi ruotano attorno sono elementi decisivi nell’economia romana e di una parte della sua popolazione.

Turismo, artigianato, spettacolo, credito, commercio: ogni attività, e ad ogni livello, fino al più infimo, è interessata al Carnevale.
Gli appuntamenti centrali della festa come l’esibizione delle maschere, gli scherzi, le battaglie dei confetti, le corse dei cavalli, i moccoletti, si concentrano sulla via del Corso. E durante il carnevale la città si trasforma.
Un elemento centrale e ricorrente del carnevale ottocentesco è rappresentato anche dalle gare.

Fin dal Medioevo si svolgono giostre, battaglie rituali, tauromachie, corse di cavalli, gare podistiche. Col passare del tempo di tutte le gare ne resta solo una: la corsa dei cavalli , che correvano, senza fantino, lungo via del Corso. Alla sera la festa prosegue nei palazzi, nelle case private e nei teatri.

E così si ristabiliscono le differenze che erano venute meno durante la giornata.
Dopo l’alternarsi di trasgressione e di semplice divertimento, dopo le mascherate e le battaglie dei confetti, le corse dei cavalli e i balli serali, l’ultimo giorno si ricompongono in un solo, grandioso avvenimento tutti gli aspetti più importanti della festa di febbraio: nei “moccoletti” (le candele accese che i romani portano per via del Corso e che si divertono a spegnere di continuo, con la libertà di insulto nei confronti di colui che rimane senza fiammella) si ritrovano insieme il richiamo della morte, l’azzeramento delle differenze di censo, sesso e generazione, la violenza ritualizzata, la purificazione dal male e, soprattutto, una straordinaria pulsione di libertà collettiva. I moccoletti si svolgono per la prima volta nel 1773. Ma bastano pochi anni perché diventino il momento più spettacolare del carnevale. È l’ultima festa della libertà, prima delle privazioni e della contrizione imposte dalla Quaresima che inizia il giorno dopo, quando comincia il divieto di mangiar carne, il carne(m)levare dal quale deriva, secondo alcuni studiosi, proprio il termine di carnevale.

Queste le parole di Goethe nel suo Viaggio in Italia (1786-1788): «Appena cala la notte sul Corso, angusto e infossato, ecco apparire qua e là dei lumi alle finestre, altri accennare sui palchi e, in pochi momenti, diffondersi all’intorno un tal fuoco che tutta la via appare rischiarata come da ceri ardenti. I balconi si adornano di lampioni di carta trasparente, tutti espongono le loro torce alde finestre».

È l’inizio della baraonda. «A questo punto ognuno si fa un dovere di portare in mano un moccolo acceso e da tutte le parti echeggia l’interruzione favorita dei romani: “Sia amazzato! Sia ammazzato chi non porta il moccolo” grida l’uno all’altro, cercando ognuno di spengere con un soffio il lume avversario [.. .] “sia ammazzato” diventa questa sera la parola d’ordine, il grido di gioia, il ritornello di tutte le facezie, di tutte le burle, di tutti i complimenti».

Le differenze sono abolite, le distanze annullate. Il mora ammazzato ha qui un significato ambivalente, di auguri di morte e auguri di bene, di ingiuria e di lode.
[fonte: Museo di Roma in Trastevere]