Gli aurighi erano considerati atleti di altissimo livello e venivano spesso lodati per il loro coraggio e la loro abilità.

Il pubblico infervorato incoraggiava i propri beniamini e si identificava con loro. L’atmosfera nello stadio in cui si tenevano le corse dei carri può essere in parte paragonata a quella che si respira durante una partita di calcio, o, ancora meglio, durante il palio di Siena, con la differenza che invece di sostenere le squadre o le contrade, gli spettatori facevano il tifo per una delle quattro scuderie (factiones), ognuna delle quali era riconoscibile per il proprio colore.

Prima dell’inizio delle corse ogni spettatore sapeva già esattamente a chi andavano le sue simpatie: per tutta la vita si tifava per i bianchi, i rossi, gli azzurri oppure i verdi. E non era solo il popolo a schierarsi esplicitamente: anche i senatori e gli imperatori restavano sempre fedeli a una stessa scuderia. L’imperatore Caligola era un acceso sostenitore dei verdi e trascorreva regolarmente giornate intere nelle stalle, dov’era solito pranzare con gli aurighi.

Il luogo dell’azione era il Circo Massimo, situato nella piana lunga 650 metri e larga più di cento compresa tra le pendici del Palatino e dell’Aventino. Secondo la tradizione sarebbe stato costruito dal re Tarquinio Prisco e riadattato varie volte alle esigenze del tempo, fino a contenere 150.000 persone.

Inizialmente il programma giornaliero prevedeva dodici corse, che in epoca imperiale arrivarono fino a ventidue. Tra le gare non vi era praticamente alcuna interruzione: appena un vincitore aveva ricevuto il suo trofeo e mentre stava ancora facendo il giro d’onore, altri carri si posizionavano già sulla linea di partenza.

Lo svolgimento era sempre lo stesso: il mecenate organizzatore dava il via con una bandiera e le quadrighe (a volte bighe o trighe) delle quattro scuderie scattavano dagli stalli. Gli aurighi dovevano compiere sette giri intorno alla spina, la barriera lunga 344 metri che divideva longitudinalmente il Circo Massimo. Gravi lesioni e ferite mortali erano all’ordine del giorno, ma gli organizzatori non potevano lamentarsi della mancanza di aurighi.

Il montepremi era alto e molti giovani del popolo o schiavi accettavano il rischio pur di raggiungere la vetta del successo, che garantiva ricchezza e popolarità.

[fonte: Fik Meijer. Un giorno al Colosseo. Il mondo dei gladiatori]