La crisi prolungata minaccia una desertificazione delle città italiane. Se il trend di chiusure delle imprese del commercio registrato nei primi quattro mesi dell’anno dovesse continuare allo stesso ritmo, al primo gennaio 2014 la faccia dei centri urbani apparirebbe decisamente cambiata e più buia rispetto a dicembre 2012 con bar, locali, ristoranti, negozi di abbigliamento decimati dalle chiusure. E la desertificazione colpirebbe soprattutto il Sud.

Secondo le stime dell’Osservatorio Confesercenti, bar e ristoranti registreranno infatti un saldo negativo combinato di 17.088 imprese, arrivando a perdere il 5% del totale di aziende registrate dicembre 2012. Ai negozi di moda e abbigliamento potrebbe andare anche peggio: a scomparire saranno ben 11.328 esercizi, secondo le stime, con una contrazione dell’8% sul 2012. Calo più contenuto invece per il settore alimentare, il cui saldo previsto è di -4.701 unità, con una variazione negativa del 3% sul 2012.

Secondo la previsione Confesercenti, il settore dell’abbigliamento registrerà nel 2013 4.593 aperture e 15.921. Si tratta di un rapporto aperture-chiusure di 2 a 7, un dato peggiore rispetto a quello di tutte le altre categorie di attività commerciali e anche del totale nazionale, per il quale il rapporto è di una nuova
apertura ogni tre chiusure. Per quanto riguarda i bar, i nuovi esercizi saranno 6.714, contro 14.430 che chiuderanno per sempre la serranda; mentre i ristoranti vedranno 15.750 imprese cessare l’attività a fronte di 6.378 aperture.

La crisi del commercio si estende a tutto il territorio nazionale, colpendo ogni regione. Per quanto riguarda le attività del settore alimentare, le stime Confesercenti indicano un saldo particolarmente negativo soprattutto in Sicilia, dove le nuove aperture saranno solo 288, un dato inferiore di quasi quattro volte a quello delle chiusure, previste a quota 1.080. Nell’abbigliamento, invece, è la Basilicata a mettere a segno il risultato proporzionalmente peggiore: con 240 chiusure e solo 84 nuove aperture, la regione perderà a fine anno il 10% del totale dei negozi del settore. In Abruzzo, invece, è previsto un record negativo per i ristoranti: con 144 aperture e 534 chiusure, al primo gennaio 2014 la regione avrà perso l’8% del totale delle imprese attive nella ristorazione. Nel settore Bar, spicca la stima per la Valle D’Aosta che, con 33 nuove aperture e 30 chiusure, potrebbe mettere a segno una variazione minima, ma positiva, dell’1%.

Complessivamente nei primi 4 mesi 2013, segnala ancora l’Osservatorio della Confesercenti, per ogni nuova apertura hanno chiuso 3 negozi. «Di questo passo in 10 anni non ci saranno più negozi in Italia – sostiene l’organizzazione dei commercianti. È un trend in continua accelerazione. «Da gennaio ad aprile saldo negativo per 13mila unità, continuando così sarà di circa -43mila a fine anno – prosegue la Confesercenti -. Se non si interviene subito il 2023 potrebbe essere l’anno zero del commercio».

La desertificazione colpisce soprattutto le fasce sociali più deboli, dice la Confesercenti chiedendo che sull’Iva «si passi dalle parole ai fatti, perché il Paese è a un passo dal baratro: con un aumento dell’aliquota, i consumi si contrarrebbero ulteriormente e la crisi delle imprese del commercio al dettaglio si aggraverebbe. E lo scenario terribile di un Paese senza più negozi di vicinato rischia di avverarsi».

Secondo quanto rileva l’Osservatorio Confesercenti, nei primi 4 mesi dell’anno ha aperto un solo negozio ogni tre che hanno cessato l’attività. Complessivamente, la distribuzione commerciale ha registrato la chiusura dall’inizio del 2013 di circa 21.000 imprese, per un saldo negativo di 12.750 unità. Se si dovesse continuare così, stima Confesercenti, alla fine del 2013 avremmo perduto per sempre circa 43.000 negozi.

«Se l’accelerazione delle chiusure dovesse continuare anche nei prossimi mesi – spiega Confesercenti – perderemo la totalità delle imprese del commercio al dettaglio già nel corso dei prossimi 10 anni. È un’emergenza sociale, economica ed occupazionale insieme: se si considera che, mediamente, ogni impresa del commercio occupa tre persone, rischiamo di far crescere la disoccupazione di oltre 120mila unità entro la fine del 2013. Un dato che dimostra ancora una volta che l’Italia non può permettersi la catastrofe del settore commerciale: il conto sarebbe troppo salato».

«C’è quindi bisogno – è l’appello dell’associazione dei commercianti – di interventi urgenti per facilitare la tenuta delle aziende. Occorre, da un lato, un intervento sulle tasse che schiacciano le imprese e sulle regole di mercato, per evitare distorsioni della concorrenza, così come una maggiore disponibilità di credito per le Pmi e una profonda semplificazione burocratica. Dall’altro, è più che mai necessario un alleggerimento della pressione fiscale che grava sui consumi delle famiglie. Per questo, riteniamo essenziale evitare l’ulteriore aumento dell’aliquota IVA al 22%: avrebbe un effetto depressivo sui consumi. Piuttosto sarebbe opportuno, al maturare delle condizioni, impegnarsi a riportare l’aliquota Iva al 20%».

La crisi delle attività commerciali di vicinato si estende a tutto il Paese. Tutte le regioni mostrano un saldo negativo, ma i picchi peggiori si registrano comunque in Sicilia – dove il saldo negativo è di 1.557 imprese – e in Campania, dove hanno cessato l’attività, senza essere sostituiti, 1.470 negozi. Seguono, nella classifica dei peggiori risultati, Lombardia (-1.263), Lazio (-1.033) e Piemonte (-1.019).

Male anche Roma. «A Roma la desertificazione urbana avanza a ritmi record. Se, infatti, la crisi della distribuzione commerciale tradizionale si estende a tutto il Paese, senza eccezioni, la Capitale “vanta” il primato delle chiusure di esercizi di vicinato: nel primo quadrimestre, infatti, nel territorio provinciale di Roma hanno abbassato per sempre le saracinesche 790 negozi, il 6,2% del totale degli esercizi perduti a livello nazionale e il 76,5% di quelli scomparsi nel Lazio (-1.033). Se il trend dovesse proseguire immutato, si stima per il territorio provinciale di Roma, alla fine dell’anno, un saldo negativo per 2449 imprese del commercio», dice ancora la Confesercenti. «Il saldo negativo record di Roma è pesantemente influenzato dal boom di cessazioni nella città (1.394) a cui hanno corrisposto sole 604 aperture – si legge -. A cessare l’attività, in questi quattro mesi, sono stati in particolare 185 negozi del dettaglio alimentare e 1209 dei restanti settori merceologici».

(IlMessaggero.it)

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