Le vestali, unico ordine religioso costituito da donne, godevano nell’antica società romana di grandissimi privilegi.
Il loro compito era di proteggere e conservare il fuoco perenne della dea Vesta nel tempio a essa dedicato nel Foro Romano (nel Foro oggi rimangono i resti della casa e della fontana delle vestali).
Le vestali venivano selezionate tra le famiglie più influenti e prestigiose della città, e prestavano il loro “servizio” alla dea per trent’anni.
Requisito fondamentale delle vestali era la purezza, dovendo esse rimanere vergini per tutto il sacerdozio. Solo al termine della carriera potevano sposarsi e condurre una vita normale, tra la fama e i privilegi del ruolo (le vestali avevano persino una tribuna riservata al Colosseo!).
Data l’importanza del ruolo delle vestali, esemplare era la sorte che spettava loro nel caso in cui fossero venute meno al voto di castità.
Le fonti ci hanno tramandato i nomi di alcune vestali, Orbilia, Oppia, Licinia ed Emilia, che venute meno al voto di verginità furono condannate ad una morte orrenda: la sepoltura da vive (ciò in quanto le vestali erano talmente sacre che a nessuno era permesso ucciderle).
Il giorno della condanna le vestali infedeli vennero prima frustate, poi vennero legate a una lettiga per l’ultima cerimonia della loro vita: dalla casa delle vestali nel Foro Romano partiva il corteo funebre che, dopo una processione sacra, terminava nei pressi di Porta Collina (oggi scomparsa, sita vicino al ministero delle Finanze), dove si estendeva il cosiddetto “campo scellerato”.
Nel sepolcro furono messi del cibo, del latte e una piccola lampada per illuminare le tenebre che avrebbero avvolto le poverette una volta sigillata per sempre la tomba.
La memoria della vestale era cancellata per sempre: finiva in questo modo terribile la breve vita delle sacerdotesse che violavano la sacralità della dea Vesta.
[fonte: Claudio Colaiacomo, Roma perduta e dimenticata]